Nel 2011 mi auguro meno fatti e più parole. No, non è un errore. So che di solito si chiede il contrario: meno parole e più fatti. Invece io penso che al nostro Paese manchino proprio le parole. Le parole che non sono chiacchiere, ma sono idee e discorsi, sono dibattito e confronto, sono riflessioni e progetti.
Nulla mi spaventa di più di fatti senza un progetto dietro. Sono fatti le leggi proposte da Tremonti, è un fatto la riforma dell'università, sono fatti i festini di Arcore, sono fatti le inaugurazioni di case per i terremotati in un contesto senza negozi e senza attività che permettano di vivere. Ma sono fatti slegati da ogni progetto e da ogni idea di un Paese migliore per tutti. Le parole stanno ai fatti come le radici agli alberi: si devono affondare le radici solide nella terra per crescere fino al cielo, se non ci sono radici solide non cresce nemmeno un fusto.

Qual è il risultato di 16 anni di questi fatti? Un Paese che ha paura del futuro, un Paese senza sogni. Bruciare i sogni è il segreto per abbattere definitivamente i propri avversari perché non trovino più la forza di rialzarsi e ricominciare. Non sognino le cose belle. Non sognino più nulla. Se non permetti alle persone di sognare, le rendi sottomesse. La noia e la tristezza sono i migliori strumenti di chi vuole dominare e sottomettere gli altri, distruggono ogni volontà. E chi ci governa di questo ha bisogno. Di sudditi senza volontà. Quando non hai sogni li rubi agli altri perché non li abbiano neanche loro. L’invidia ti brucia il cuore e quel fuoco divora tutto. Lega e PDL vivono di cattiveria. L'unica loro ideologia è la lotta contro qualcuno. Non c'è nessun progetto e nessun sogno. C'è solo la difesa dei propri egoismi contro nemici immaginari. Un uomo senza sogni gode di poter impedire l'altro di realizzare i propri. Allora tutta l'azione politica diventa un negare ad altri ciò che desiderano. Si gode di impedire a delle persone di fare cose normalissime, come pregare. Si fa una politica inconcludente. Lega e PDL hanno fallito dovunque. Hanno fatto dell'abbattimento delle tasse la loro bandiera e invece le alzano anche in Veneto, dove governano tutto. Ci hanno riempito la testa di sicurezza, invece la loro politica è tutta apparenza: arrivano a sacrificare la sicurezza alla sensazione di sicurezza, chiedendo ai vigili di non fare effettivamente il loro lavoro ma girare con le luci accese per farsi vedere. Lo Stato dev'essere autorevole con i forti e giusto coi deboli, capace di accogliere chi lavora e capace di pretendere rispetto. Bisogna investire nella sicurezza vera, non tagliare i fondi alle forze dell’ordine per rendere davvero sicuri e i posti in cui viviamo. 

Dobbiamo fermare questa enorme commedia messa in piedi da PDL e Lega sempre più costosa da mantenere, fatta solo di sprechi che sta consumando e sprecando le risorse che servirebbero a garantire un futuro ai giovani. Oggi chi è più giovane sa di avere pochissime chance di poter avere un lavoro che gli permetta una vita normale: mantenersi, avere una casa, crescere dei figli e, quando sarà anziano, avere una pensione. Avere un lavoro che permette di vivere è passato da essere un diritto a essere una pretesa. Ho sentito un giovane una volta dire "La mia ragazza ha uno stipendio che non le permette di vivere, ma è normale, si deve fare un po' di gavetta". No, non è normale. E non è nemmeno transitorio. Una volta che si è creato un meccanismo per cui si può sottopagare qualcuno si è creato un mostro che pretenderà di sottopagare per sempre. Come non è normale che puoi comprar casa solo se hai la fortuna di avere dei genitori che fanno da garanti per il mutuo.

L'effetto di tutto ciò è che cresce l'esasperazione. Si vedono decine di persone esasperate dallo zero politico di questi anni, da una parte edall'altra. Esasperate per il fatto di non avere in futuro quelle garanzie anche minime su cui potevano contare i loro genitori. Esasperate da una classe politica che invece di risolvere i problemi corteggia gli elettori nella speranza si creda all'ennesima bugia. Esasperate dall'assurdo potere che hanno programmi imbecilli di manipolare il consenso. Esasperate da questo paese che non sa sognare di meglio che un tronista, un calciatore semianalfabeta, una velina. Esasperate da chi non sa vedere il vantaggio che non sia esclusivamente il proprio e l'immediato. Esasperate e disperate: perché non vedono soluzioni a breve o a lungo termine. Non vedono un'alternativa al tunnel dove siamo entrati.

Temo questa esasperazione. Temo diventi una serie di altri fatti. Fatti dolorosi. Leggo che sempre di più si fanno discorsi violenti. Sento gente normale dire con una leggerezza agghiacciante cose come "Ci vorrebbe una bomba per farli fuori tutti quelli in Parlamento". O leggo di di gente al bar che dice che le sarebbe piaciuto essere a tirar pietre o che dice che non è detto tirare i sassi e spaccare le vetrine serva a qualcosa ma è giusto farlo perché è l’unica cosa possibile. Leggo che i figli arrivano a tirar petardi contro le sedi del partito dei padri. Leggo questa lettera pubblicata su Repubblica: "Non ho più ragione di credere che con le buone si ottenga qualcosa, non a questi livelli. Un anno fa mi sarei indignata per Roma, oggi no, oggi sono felice. Perché è vero che la violenza è uno schifo, ma è l’ultima risorsa di chi è disperato. Uso questo termine non a caso: disperato è colui senza speranza. E io sono così. Io non ho futuro: ho 26 anni e non ne ho già più uno. Non potrò mai comprarmi una casa perché non farò mai un lavoro che mi permetta di accendere un mutuo, i miei genitori non possono aiutarmi economicamente e non so nemmeno se potrò mai comprarmi una macchina nuova. Se avrò dei figli non riuscirò a pagare le tasse per mandarli all’università, e quando sarò vecchia non avrò pensione. Non ho più niente da perdere e come me tantissimi, troppi altri.". 

A questa esasperazione si può rispondere solo con un nuovo progetto di Paese. Quando c'è caos è il momento di fare ordine. Guardiamoci dentro, attorno, parliamone e riflettiamo su come dovrebbero funzionare le cose. E trasformiamo queste riflessioni in un progetto. Un progetto a cui, certo, devono corrispondere fatti. Ma prima dei fatti servono le parole per descriverlo e per spiegarlo. Perché un progetto che riformi lo Stato può funzionare solo se compreso. E solo se costruito con pazienza.

L'Euro è stato l'ultimo vero progetto di cambiamento della nostra società, un progetto grandioso e riuscito. Noi ne facciamo parte grazie al lavoro di un Governo che ha ottenuto risultati incredibili. Godiamo grandi benefici dal fatto di essere nell'Euro. Se non lo fossimo la crisi e la speculazione ci avrebbero devastato. Però quel progetto non è stato spiegato. Non si è fatto comprendere quali benefici portava. Non si sono spese parole per renderlo un progetto condiviso. Lo stesso discorso si applica più in piccolo alla politica economica del secondo Governo Prodi. Nel 2007 il rapporto debito/PIL era sceso del 4% e il PIL era cresciuto. Un risultato incredibile. Ma L'artefice di questo risultato è ricordato solo per aver usato male le parole: "tesoretto" e "bamboccioni" sono il ricordo che abbiamo di quel Governo. Anche in quel caso non è stato costruito un progetto condiviso con la gente. Bisognava far capire che il rigore che ha portato ad abbattere il rapporto debito/PIL del 4% in un anno poteva portare in 15 anni ad avere un debito in linea con gli altri paesi europei e a liberarsi dal peso di interessi che strozzano la nostra economia.

Il nostro Paese ha problemi radicati e profondi. Per risolverli serve un progetto coerente a lunga scadenza. Un progetto che parte chiedendo sacrifici ai molti che godono di privilegi. Un progetto che richiede a tutti di adeguare abitudini e modi di vita. Un progetto che si giustifica solo se ha un obiettivo alto. Un progetto che è realizzabile solo se è credibile. Non è vero che nessuno sarebbe disposto a far sacrifici. Tutti fanno sacrifici per i loro figli. Il punto centrale è elaborare una proposta capace di far capire che il futuro migliore per chi oggi è un bambino può essere costruito solo da un Paese diverso, che cresce e che valorizza tutti.

Dobbiamo riscoprire le parole che fanno grande un Paese. La prima da riscoprire è meritocrazia. Questa parola è vittima di un grande equivoco. Meritocrazia non è, come molti pensano, il fatto che i migliori vanno avanti e gli altri stanno fermi o soccombono. Se la si vede così è ovvio che spaventa. Piuttosto che rischiare mio figlio resti penalizzato la combatto e preferisco una raccomandazione. Meritocrazia è un'altra cosa: è il fatto che tutti godono dei loro meriti, che ognuno trova uno spazio conforme alle sue capacità e alle sue attitudini in cui i suoi meriti contribuiscono al bene comune e portano a lui rispetto, stima e un giusto guadagno. Dobbiamo premiare l’impegno e insegnare alle future generazioni a guadagnarsi qualcosa con i propri meriti. Chi ragiona solo in termini di immagine diffonde una cultura dell’illusione e dell’inconsistenza. Chi promuove e candida ballerine, scelte solo per il loro aspetto, crea illusioni, porta un modello sbagliato, lontano dalla nostra identità e dai nostri valori. 

Dobbiamo ridare senso alle parole innovazione e flessibilità. Partenda da dati oggettivi e seguendo l'esempio di chi fa meglio di noi. La Germania ha superato la crisi e quest'anno ha una crescita del PIL tre volte superiore alla nostra. C'è riuscita perché crede nell'innovazione. Durante la crisi invece di tagliare i fondi alla ricerca li ha aumentati. In Italia non siamo competitivi perché crediamo che per essere competitivi dobbiamo semplicemnente tagliare il costo della manodopera. Crediamo di poter competere sul mercato mondiale con piccoli artigiani che lavorano 12 ore al giorno e operai sottopagati. Seguiamo il modello della Cina invece che il modello della Germania. Nel farlo stiamo fallendo miseramente. Con buona pace di Fassino eRenzi le automobili costruite in Germania aumentano del 15% e restano più di un terzo di quelle costruite in tutta Europa nonostante gli operai tedeschi siano pagati 500 euro più dei nostri. Forse, più che di costo della manodopera, è un problema di qualità dei prodotti e di competitività dei nuovi modelli.

Un altro termine da riscoprire è diritto. Un diritto è qualcosa che spetta a una persona e che è tale se la persona è nelle condizione di esigerlo. Oggi dobbiamo riscoprire quali sono i diritti degli Italiani e delle persone che vivono in Italia. Abbiamo leggi che sanciscono diritti a parole che nella realtà non esistono. Dobbiamo capire che garantire i diritti ha un costo, ma anche che i diritti del più debole sono i diritti di tutti noi. Se non riusciamo a garantire a tutti i loro diritti non siamo un paese civile. Dobbiamo capire che è vero che garantire i diritti costa, ma che non garantirli ha un costo umano infinitamente superiore.

Dobbiamo ridare un senso alla scuola. Dobbiamo tornare a vedere la scuola come luogo di apprendimento autentico smettendo di ragionare in termini di utenza, di marketing e di produttività. Per farlo dobbiamo modificare le leggi e rieducare l’opinione pubblica. Da anni la scuola, in nome dell’autonomia, è stata trasformata in un’azienda. La quale deve farsi pubblicità, offrire benefits, promuovere un’immagine vincente sul territorio, soddisfare la sua utenza e produrre risultati misurabili. E dobbiamo avere il coraggio di dire che non si possono misurare le scuole coi test Invalsi (tra l'altro, i test vengono corretti dai capi d'Istituto, Solo in alcune poche scuole prese a campione ci sono dei funzionari esterni non pagati, immagino l'attendibilità dei risultati), che sono mostruosità le valutazioni di merito, le classifiche regionali e nazionali, in cui i "singoli" risultati dei singoli istituti saranno messi in colonna, come fossero risultati sportivi. Quando si misura un indice per valutare qualcuno quel qualcuno farà di tutto per migliorare quell'indice, non per fare meglio ciò che è il suo compito. Le scuole devono formare persone migliori, non esibire indici migliori. Un aneddoto per capire ciò che intendo: un giorno ero in areoporto e ho incontrato un mio ex studente, mi saluta e mi dice che è diventato manager di un’azienda a Londra. Commento dicendo “Allora il Politecnico ti è stato utile”. Lui mi dice che in verità un giorno a lezione io dissi “Se non capite questa cosa davvero forse è il caso che vi fate delle domande sulla scelta di frequentare questa università”. Mi disse che si fece le domande e cambiò strada. E anche se allora mi odiava a posteriori me ne è grato. Qualsiasi indice avrebbe valutato il suo abbandono del Politecnico come qualcosa di negativo. Come si può misurare una cosa così? Investire nella cultura e nell’istruzione deve servire a preparare i bambini di oggi ad affrontare il domani. Solo se saremo preparati potremo vincere le sfide del futuro. Investire in ricerca significa essere i primi a produrre prodotti nuovi, significa diventare leader mondiali in settori emergenti. Per guidare l’innovazione e non subirla. Per ottenere questo risultato serve un'università di qualità, fatta da persone di qualità. Perché i migliori decidano di restare in università italiane bisogna adeguare gli stipendi agli standard europei e introdurre la tenure track (un ricercatore universitario inizialmente con contratto "a termine" viene confermato o assunto direttamente come professore associato a tempo indeterminato se il lavoro svolto per 5 o 6 anni soddisfa dei requisiti misurabili in modo oggettivo e stabiliti a priori). In questo modo non si garantisce il posto a prescindere dai risultati, ma lo si garantisce a chi raggiunge livelli adeguati.

Dobbiamo rivedere il nostro welfare, eliminando la possibilità chequalcuno lavori una vita e poi resti senza pensione. Bisogna rivedere complessivamente il welfare per garantire a tutti la serenità (che è la base del vivere bene). Nessuno deve vivere con l'ansia che anche se lavora bene resterà senza i soldi per mantenere la famiglia. Gli ammortizzatori sociali devono essere rivisti garantendo a tutti i lavoratori, dipendenti o collaboratori, la stessa copertura dal rischio di disoccupazione, certa e definibile a priori, eliminando disparità e discrezionalità da parte delle amministrazioni pubbliche che li concedono. Bisogna inventare nuove politiche di riqualificazione e di reimpiego dei lavoratori stessi smettendo la pratica dei finti corsi fatti per regalare soldi a docenti improvvisati.

Dobbiamo rivedere la nostra sanità. Dobbiamo passare da una sanità che si preoccupa degli indici di prestazione a una sanità che si preoccupa delle persone. Anche in questo caso un aneddoto aiuta a spiegare la differenza. Mi è capitato di vedere un signore che doveva richiedere una visita per togliere i punti dopo un’operazione all’occhio. Mentre era lì proprio sotto un cartellone che pubblicizzava i tempi d’attesa incredibilmente corti per decine di esami, gli è stato risposto che non c’era la possibilità di essere visitati per mesi e che avrebbe fatto meglio a rivolgersi al suo "oculista di fiducia" suggerendogli implicitamente di pagarsi una visita privata. Si è messo a piangere. È tremendo vedere un adulto piangere umiliato. Dobbiamo puntare a una sanità diversa, che non costringe i pazienti a pagarsi visite extra, capace di organizzarsi e di capire che quando si opera un paziente occorre offrirgli assistenza anche nel decorso della malattia. Una sanità che spende meno in pubblicità e più per i pazienti.

Dobbiamo riappropriarci dell'assistenza, che ha lo scopo di garantire una vita migliore agli assistiti e non di garantire soldi a chi vive sul business dell'assistenza. Un assistente sociale sa di avere un posto fisso. Un disabile non sa se il contributo che riceve quest'anno sarà disponibile l'anno prossimo. Ci sono più garanzie per chi si occupa dell'assistenza che per chi ne usufruisce. Ciò è semplicemente assurdo. Bisogna dare stabilità alle forme di sostegno, cercando di razionalizzarle e favorendo quelle che accrescono l'autonomia (e diminuiscono di conseguenza i costi). I progetti di vita indipendentedevono diventare prassi: garantiscono una vita migliore al disabile e costano meno di altre forme di assistenza (un disabile grave, in un istituto, ha un costo che si aggira intorno ai 300-500 euro al giorno; con il costo di un solo disabile in istituto, si possono assistere circa 10 disabili gravi a casa). 

Dobbiamo recuperare il senso della parola libertà. C'è una differenza nell’idea di libertà tra noi e Berlusconi: per lui è l’infinita libertà di possedere merci, potere e persone. Per noi è libertà dalla paura, dalla miseria, dalla superstizione. Per noi è la libertà di vivere con chi amiamo serenamente. Dobbiamo riprenderci la parola 'libertà' e riconsegnarla al suo vero significato.

Dobbiamo rivedere il concetto di green economy, imparando che non è una fissazione di ingenui ecologisti, ma la più potente arma per sconfiggere la crisi. C’è chi propone di risolvere i problemi energetici del Paese con centrali nucleari, che saranno realizzate da aziende straniere e porteranno lavoro e commesse in Francia e Germania. Noi avremo energia molto costosa e scorie nucleari. L’irradiazione provocata da materiale contaminato causa lo sviluppo di tumori e la nascita di bambini malformati. Dobbiamo investire nelle energie rinnovabili e nelle piccole imprese specializzate in questo settore, in grado di dare lavoro a centinaia di persone. 

Tutte queste cose però hanno senso solo se inserite in un contesto più ampio, in un progetto complessivo. In un'idea di Italia. Un'Italia che dev'essere l'evoluzione positiva di ciò che esiste già. Però un'altra Italia, un'Italia capace di dare speranza a tutti i suoi figli. Un'Italia capace di guardare al futuro con fiducia, verrebbe da dire che dev'essere la Prossima Italia.



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