Secondo i ministri Sacconi e Meloni "Il corso di laurea intrapreso è sbagliato rispetto alle esigenze del mercato, il ragazzo non trova lavoro? Accetti un contratto d'apprendistato e impari un mestiere. Soprattutto, sia umile: i giovani italiani soffrono di "inattitudine all'umiltà", afferma il ministro della Gioventù Giorgia Meloni (che però generosamente precisa che non bisogna mai generalizzare). Sono alcuni degli elementi del "Piano di azione per l'occupabilità dei giovani" presentato a Palazzo Chigi dal ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Maurizio Sacconi, dal ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini e dal ministro Meloni."
Peccato che invece si scopre che "Secondo l’ultima indagine Istat sull’ingresso dei giovani nel mercato nel secondo trimestre 2009 (il periodo al quale si riferiscono i dati più recenti) circa 2,2 milioni di giovani (fino a 34 anni) laureati e diplomati, corrispondenti al 47,1% del totale, “possiede un titolo superiore a quello maggiormente richiesto per svolgere quella professione”. Cioè, è sottoinquadrato, non si è chiuso in casa ad aspettare il lavoro dei propri sogni, facendo arrabbiare il ministro Sacconi. Anzi, ha fatto proprio quello che il ministro suggerisce come ricetta principe per combattere la disoccupazione giovanile: ha accettato un lavoro qualsiasi."
Gli unici che fanno un lavoro per cui non sono adatti e non hanno l'umiltà di cercarne un altro sono questi ministri...

Loro

1/25/2011

0 Comments

 
Credo sia stato alla fine degli anni Novanta: successe che i titoli di prima pagina del Giornale di berlusconiana proprietà cominciarono a iniziare tutti con un verbo. E il soggetto, sottinteso, era sempre lo stesso: “loro” («Vogliono tassare il pane»; «Ci toglieranno la seconda casa», «Metteranno le mani nelle tasche degli italiani» ecc., tanto per dire). Loro, il soggetto sottinteso, eravamo noi, cioè quelli di sinistra o di centrosinistra o antiberlusconiani, in qualche modo; quelli che stavano con Prodi. Io rabbrividivo davanti a quei soggetti inespressi ma non capivo bene il perché. Rabbrividivo e basta, quasi senza coscienza di farlo. 

Oggi, passati molti anni, so perché rabbrividivo, l’ho capito. E so che è un brivido fuori moda, il mio, ma continuo a provarlo. Per esempio lo provo identico davanti alla parola “primarie”, che anche in questi giorni sta facendo tanto discutere, a Napoli come a Bologna; e che ancora di più sarà usata e farà discutere quanto più si avvicineranno le elezioni vere, che mi sembrano quasi inevitabili ormai. 

Non che io provi ribrezzo per le primarie di coalizione, ci mancherebbe; semplicemente non sono mai, nemmeno una volta, andato a votare e continuerò a non farlo. Ma mi pare, però, che le primarie (e il dibattito che intorno ad esse ferve) siano soltanto un piccolo pezzetto, quasi un effetto collaterale, di un problema più grande, che riguarda appunto le coalizioni: il quale problema più grande, nella sua interezza, si chiamerebbe, secondo me, bipolarismo e, in seconda battuta, sistema elettorale maggioritario. 

Intendiamoci, non mi chiamo Pierferdinando e non ho mai pensato con simpatia a nessuno che in tal modo si chiamasse. Ma a me pare che è da quasi vent’anni che ci arrovelliamo intorno alle stesse questioni e che non riusciamo a uscire dal cul de sac in cui ci siamo cacciati, quando abbiamo deciso che un sistema elettorale proporzionale non sarebbe più bastato per il nostro modernissimo paese. E che nemmeno una soglia di sbarramento al 4 o 5 per cento sarebbe bastata: bisognava essere maggioritari, a tutti i costi, senza esitare: e soprattutto bisognava essere bipolari. O da una parte o dall’altra, come gli americani. Che però sono diversi da quello che siamo noi, parecchio. 

(Io fui invece parte di quella risibilissima minoranza che votò No al referendum nel 1993, in realtà: fummo degli sparuti nostalgici, meno del 18%, e questo mi scoraggiò non poco, lo confesso. Seppi in quel momento [con l'abrogazione della legge elettorale del Senato veniva doppiato il successo che si era avuto nel 1991 con il voto per la preferenza unica, rovesciando definitivamente il principio proporzionalistico a favore di quello maggioritario] che non avrei più avuto una rappresentanza politica come la chiedevo; anche perché pochi mesi dopo comparve Berlusconi con la sua «Forza Italia». E sono date che non mentono, secondo me; coincidenze di tempi che dovrebbero fare riflettere un po’ di più.). 

Da quell’anno è stato tutto un precipitare, politico e civile, fino a oggi. Ed è senz’altro vero che di questo precipitare il berlusconismo è stato un ingrediente essenziale e decisivo, un lievito potentissimo; ma non è stato l’unico. E se è stato così potente, è anche perché proprio Berlusconi, meglio di tutti gli altri, ha saputo interpretare al meglio l’essenza del dividersi in due “poli” (del buon governo, della libertà), per come essa si può incarnare in un paese come l’Italia: nello scontro frontale, senza esclusione di colpi, nell’urlo che prevarica ogni argomento, nello slogan che sostituisce la realtà. 

Perché, lo confesso, a me pare che l’Italia non sia affatto un paese adatto per un sistema maggioritario e un parlamento bipolare; noi non abbiamo una storia che ce lo consente. Siamo un paese di campanilisti e di tifosi, in cui i nostri vicini sono sempre dei “nemici”, in cui è normale e fisiologico che qualsiasi conflitto degeneri in scontro e in battaglia. Lo siamo da un millennio almeno: è il nostro patrimonio genetico collettivo. I fiorentini contro i pisani, gli interisti contro i milanisti, i bergamaschi contro i bresciani, il nord contro il sud: l’altro è sempre il peggio, l’altro va annientato, l’altro non capisce niente. Da sempre e chissà ancora per quanto. 

Berlusconi ha interpretato assai bene questa debolezza tutta italica: e ha cominciato a parlare di “comunisti”, di “complotti”, di “partito dell’amore” contrapposto al “partito dell’odio”. Ha cominciato a parlare di “loro”, che eravamo noi. Era tifo, non più appartenenza politica: e infatti si cominciò a discutere di discesa in campo, come se fossero squadre di calcio, davanti alle quali lo scontro è tutto emotivo e il compromesso impossibile. E, intendiamoci, mi piace molto pensare, quando guardo una partita della mia squadra del cuore, che gli altri, di qualunque orribile colore siano vestiti, siano degli incapaci, ingannatori, simulatori e fetenti; e che il calcio di rigore non ci sia mai e l’arbitro sia cornuto. Mi piace insultarli e vederli sconfitti; mi piace addirittura vederli perdere quando giocano contro una squadra inglese. È una partita di calcio, però. 

Non mi piace affatto, invece, sentirmi costretto a farlo quando in ballo ci sono il governo e le sorti del paese. Che è il mio, come è il loro; ed è un posto in cui sto meglio io se stanno meglio anche loro (banale, lo so, ma inevitabile). Eppure ultimamente mi ci hanno costretto: a fare il tifo, a sperare nello sfascio, a considerarli nemici e fetenti. E, scusatemi se vi sembrerò superficiale, ma a me sembra che gran parte di questa costrizione venga proprio dal sistema bipolare: o di qua o di là; e quelli di là sono tutti delinquenti ladri e assassini. E se Fini non è più di là vuol dire che è di qua, a prescindere dal suo evidentissimo e inaccettabilissimo passato. E quindi o di qua o di là, sempre e comunque, anche alle primarie, anche dentro le coalizioni. Come se il compromesso, il massimo comune denominatore, il bene di tutti (che è anche la rinuncia a una parte del bene mio personale) fossero un dettaglio. Come se non fossero l’essenza ultima della politica. 

Perciò mi capita di trovarmi a pensare che starei così bene se non ci fossero gli altri, “loro”, quelli che non stanno dalla mia parte; e che vorrei tanto che venissero annientati, che sparissero, e non pensarci più. Ma non spariranno, nemmeno se sparirà Berlusconi. E soprattutto, devo sapere che, quello che io penso di “loro”, lo pensano anche “loro” di me; il che è un bel guaio, visto che abitiamo nello stesso paese, che è il mio paese, ma è anche il loro.

(Lo Scorfano)
 
La ‘lenzuolata’ di Veltroni è di indubbio valore e le cose che propone vanno approfondite e studiate con attenzione. Faccio una proposta, per evitare che siano strumentalizzate dal solito dibattito interno: bisognerebbe fare come nei concorsi, mettere le idee in una busta chiusa, senza apporre l’etichetta, così non si potrà dire che sono le idee di questo o di quello e commentarle solo in ragione della firma che portano, come accade ora.

Lo spirito del Lingotto aleggia, così come la promessa di cambiamento, ma speriamo di non doverne organizzare un altro, di Lingotto, per lanciare ancora il Pd, se non magari da forza finalmente al governo, perché vorrà dire che il Pd lo avremo finalmente realizzato.

E allora pratichiamolo, il cambiamento, non annunciamolo soltanto. Facciamolo perché è vero che c’è un’anomalia italiana, di cui si parla molto oggi, ma l’anomalia dura da anni, diciassette per l’esattezza, anche l’anomalia italiana sta diventando maggiorenne. Ho sentito parlare di «power to the people», del partito degli elettori. E sono d’accordo, ma possiamo prenderci l’impegno concreto di celebrare le primarie per scegliere i parlamentari, oggi, qui e approvarle nella prossima assemblea nazionale? Il partito degli elettori comporta anche che finalmente spegniamo il caminetto, anche in ragione di questioni ecologiche?

Si parla tanto del modello tedesco per la partecipazione dei lavoratori ai destini e alla direzione delle imprese, forse dovremmo adottare un modello tedesco anche per la partecipazione degli elettori alla direzione del partito.

A Bersani, dobbiamo aprire una riflessione sul Pd nel corso dell'anno, chiedo perché non iniziamo a farlo, il Pd, senza riflettere ancora? Perché anche l’interpretazione secondo la quale è colpa dei media se siamo ‘percepiti’ così, è vera solo fino ad un certo punto e non credo che esista un Pd percepito e un Pd reale e fichissimo che le persone si ostinano a non vedere.

Veltroni ha citato Abramo (che visse fino a 175 anni, speriamo di fare prima), ma ha ragione: perché dobbiamo riunire il popolo democratico.

Veltroni dice che non ci sono più ex-Ds e ex-Margherita. Meno male. Solo che ora ci sono gli ex-Pd, i tanti elettori che non ci hanno votato più dopo il risultato del 2008.

Ripartiamo da loro, sappiamo dove sono, perché abbiamo gli archivi delle primarie e di tante altre consultazioni, che non abbiamo mai utilizzato. Ripartiamo da chi non ci vota più e da chi non vota più in generale. Gli astensionisti in Italia sfiorano il 40%, come dieci Udc. Due su tre, dicono le ricerche demoscopiche, sono di centrosinistra.

E prendiamoli con gli argomenti della ‘casta’, cercando di essere chiari.

Metà parlamentari a metà prezzo. E le province aboliamole tutte, in un disegno complessivo, non solo quelle delle città metropolitane. E però, gli astenuti, prendiamoli anche con la politica, che arriva sempre dopo, spesso troppo tardi, come è capitato anche a Mirafiori. Che non vede alcune cose drammatiche, che voglio ricordare, la sperequazione dei redditi, l’ingiustizia sociale, i progetti di vita che si fanno sempre più sfuggenti, l’impossibilità di arrivare a quella realizzazione di sé che riguarda gli individui e il Paese intero.

Senza paura, perché se il torero ha paura, il toro se ne accorge. E i familiari, a casa, si preoccupano.

Ci sono questioni centrali da affrontare, perché sarebbe un momento importante per la politica, e invece siamo apparsi, ultimamente, un po’ introversi.

Impegnati soprattutto a discutere di formule e di alleanze, sembriamo il Conte di Sandwich, tragicomico personaggio di Woody Allen, che passò la vita a cercare di capire in che giusto ordine mettere le fette di pane e quelle di tacchino.

Forse dobbiamo chiederci cosa metterci, nel panino, perché il gusto si sente troppo poco. E sembriamo sbilanciati, verso questo o verso quello. E siamo sempre sulla difensiva: piccati, più che piccanti, a dirla tutta.

Ricordandoci che il nostro futuro è nell’Unità, la nostra e quella del Paese. E solo nel futuro, in nuove rappresentazioni e in nuove idee, troveremo l’unità.

Oggi si parla di unità e lo slogan è «Fuori dal Novecento», e allora ho pensato, di tornare all’Ottocento (come qualcun altro forse vuol fare, in un altro senso). Ai giovani di allora. 

Nel Risorgimento i trentenni erano le avanguardie. Erano maturi e azzardati, insieme. E colgo l’occasione per ricordare che non sono giovane, che solo nel Pd si è «per sempre giovani» (un ottima campagna per il prossimo tesseramento, se ci si pensa).

Qualcuno in prima fila dice che allora morivano presto. Ha ragione, solo che loro se l’erano giocata.

Ippolito Nievo alternava la penna all’ardimento e alla battaglia, mentre qui la penna serve solo per scrivere i curriculum, nella speranza di avere un amico introdotto, e il conflitto è negato, nella società del conformismo e della famiglia allargata.

A Teano, un garibaldino di oggi, non incontrerebbe nessuno, tale è il senso dello Stato e la cultura delle istituzioni.

Se volesse allestire uno sbarco a Sapri, non troverebbe nessuno che gli finanzi la start up.

A Caprera (una zona un po’ mal frequentata, di questi tempi), in pensione, non ci andrà mai e nessuno ha idea di quale soluzione trovare, in proposito. 

Se il giovane garibaldino sente dire, o si cambia l’Italia, o si muore, fa gli scongiuri (perché è più probabile la seconda...).

Se legge su un muro la scritta «Viva Verdi», gli viene in mente la Padania.

Mentre allo sbarco dei Mille, oggi, si risponde con i respingimenti. 

Mazzini e i giovani di allora pensavano alla patria in un quadro universale, e noi ci ritroviamo con l’Italietta autarchica e provinciale di un «ghe pensi mi» collettivo, ancora più ridicolo (e pericoloso) nel mondo della globalizzazione.

Non era questa, l'Unità che avevamo in mente, per questo consiglierei ai nostri Cavour, Mazzini e Garibaldi di trovare le sedi di confronto: e di ricordarsi, magari, dei motivi per cui noi stessi ci siamo uniti. 

Perché dobbiamo finalmente dare le risposte alle domande che ho passato in rassegna.

Perché l’unità che serve al Paese è anche quella che serve al Pd, in cui ci si confronta, si discute, si accoglie e si include, aprendosi all’esterno. E verso il futuro. Perché è là che la troveremo, l’unità che cerchiamo.


(Pippo Civati)
 
Del nord Italia si raccontano tante cose, e alcune di queste, quelle che potrebbero risultare più utili per il nostro viaggio nelle terre selvagge, into the wild, le ho messe in questo pacchetto, che poi ho chiamato “pacchetto Nord”. Il pacchetto Nord è un viaggio alla riscoperta dell’Italia, tutta intera, che sembra tanto fuori moda, nell’anno del suo 150° compleanno. Ci siamo dentro tutti, nel “pacchetto Nord”, Nord e Sud, cittadini italiani e cittadini stranieri, perché parlando di temi particolarmente sensibili per il nord, il pacchetto offre una vasta gamma di prodotti per tutta l’Italia. Altrimenti, sarebbe stato molto più facile chiamarlo “pacchetto secessione”, o “pacchetto sicurezza”, per farvi qualche esempio.

Il pacchetto Nord è, per forza di cose, poco ingombrante: si può trasportare facilmente, non è nominativo, ma è trasferibile, si può scambiare di mano in mano. Ed è confezionato come si deve, ci ho messo anche un fiocco, ma è anche facile da aprire, perché è importante capire in un istante che cosa ci sta dentro.

Fisco 2.0: introdotto da Ernesto Ruffini, a Firenze, che vuol dire 1. emissione elettronica delle fatture, con un semplice click, collegandosi al sito dell’Agenzia delle Entrate e aprendo un proprio profilo 2. compilazione della dichiarazione dei redditi da parte del Fisco, un sistema già sperimentato in diversi Paesi europei: il commerciante di Busto Arsizio non impazzirà più dietro ai documenti, ma sarà il Fisco a compilarli per lui, sempre attraverso un sistema informatizzato. In questo modo ci trasformeremo da controllati a controllori. 3. Pagamento dei costi deducibili tracciabile elettronicamente, così, tra l’altro, aiuteremo il Fisco a compilare la nostra dichiarazione dei redditi. E’ un sistema che già funziona, per esempio in Farmacia, con la tessera sanitaria. 

Enti trasparenti: la corruzione della pubblica amministrazione ci costa 50/60 miliardi di euro all’anno. Per questo chiediamo nuove forme di trasparenza e partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. Perché tutte le attività dell’amministrazione pubblica siano aperte e trasparenti, perché la nostra intelligenza collettiva è il miglior controllore possibile. Enti trasparenti vuol anche dire valutazione dei servizi da parte del cittadino, e partecipazione del cittadino alla definizione delle politiche pubbliche. 

Meno consumo di suolo e più consumo di suole: subiamo da anni una cementificazione selvaggia. Forse è il caso di dire stop, basta, fermiamoci un attimo e ripensiamo al nostro modello di sviluppo, esistono già esperienze consolidate, come a Cassinetta di Lugagnano, che non si trova in capo al mondo, ma in provincia di Milano . Consumiamo di più le suole delle scarpe, incentiviamo il trasporto pubblico, offrendo un servizio all’altezza, non un servizio che va in blackout perché la mattina si ghiacciano i binari. E ho una notizia sconvolgente: in provincia di Varese, in inverno, fa freddo. 

Siamo tutti cittadini: possiamo dirlo chiaramente? Chi nasce in Italia è italiano, è molto semplice. E possiamo dire anche che chi contribuisce alla cosa pubblica lavorando e pagando le tasse non può avere meno diritti di un cittadino straniero? Il nord viene dipinto come una terra abitata da 10 milioni di xenofobi, che danno la caccia agli immigrati: possiamo sfatare anche questo mito, dicendo che in Lombardia, negli ultimi 10 anni, i due terzi delle nuove imprese sono guidate da cittadini stranieri? Non è vero che le persone del nord hanno tutte in casa il fucile, c’è solo che da queste parti abbiamo un partito che vuole farcelo credere. Perciò investiamo su politiche di integrazione e di convivenza: alle volte basta davvero poco, come a Torino, dove in piazza, la domenica mattina si fanno lezioni di lingua reciproche, tra italiani e immigrati, e tra immigrati e immigrati. Infine, il fiocco. 

Il fiocco è molto semplice, e anche elegante quanto basta: riguarda i costi della politica: metà parlamentari a metà prezzo, perché al Congresso degli Stati Uniti siede la metà – su per giù – dei nostri parlamentari, e perché lo stipendio di un parlamentare non può essere superiore a quello di un sindaco di una grande città italiana.


(Stefano Catone)
 
Nel 2011 mi auguro meno fatti e più parole. No, non è un errore. So che di solito si chiede il contrario: meno parole e più fatti. Invece io penso che al nostro Paese manchino proprio le parole. Le parole che non sono chiacchiere, ma sono idee e discorsi, sono dibattito e confronto, sono riflessioni e progetti.
Nulla mi spaventa di più di fatti senza un progetto dietro. Sono fatti le leggi proposte da Tremonti, è un fatto la riforma dell'università, sono fatti i festini di Arcore, sono fatti le inaugurazioni di case per i terremotati in un contesto senza negozi e senza attività che permettano di vivere. Ma sono fatti slegati da ogni progetto e da ogni idea di un Paese migliore per tutti. Le parole stanno ai fatti come le radici agli alberi: si devono affondare le radici solide nella terra per crescere fino al cielo, se non ci sono radici solide non cresce nemmeno un fusto.

Qual è il risultato di 16 anni di questi fatti? Un Paese che ha paura del futuro, un Paese senza sogni. Bruciare i sogni è il segreto per abbattere definitivamente i propri avversari perché non trovino più la forza di rialzarsi e ricominciare. Non sognino le cose belle. Non sognino più nulla. Se non permetti alle persone di sognare, le rendi sottomesse. La noia e la tristezza sono i migliori strumenti di chi vuole dominare e sottomettere gli altri, distruggono ogni volontà. E chi ci governa di questo ha bisogno. Di sudditi senza volontà. Quando non hai sogni li rubi agli altri perché non li abbiano neanche loro. L’invidia ti brucia il cuore e quel fuoco divora tutto. Lega e PDL vivono di cattiveria. L'unica loro ideologia è la lotta contro qualcuno. Non c'è nessun progetto e nessun sogno. C'è solo la difesa dei propri egoismi contro nemici immaginari. Un uomo senza sogni gode di poter impedire l'altro di realizzare i propri. Allora tutta l'azione politica diventa un negare ad altri ciò che desiderano. Si gode di impedire a delle persone di fare cose normalissime, come pregare. Si fa una politica inconcludente. Lega e PDL hanno fallito dovunque. Hanno fatto dell'abbattimento delle tasse la loro bandiera e invece le alzano anche in Veneto, dove governano tutto. Ci hanno riempito la testa di sicurezza, invece la loro politica è tutta apparenza: arrivano a sacrificare la sicurezza alla sensazione di sicurezza, chiedendo ai vigili di non fare effettivamente il loro lavoro ma girare con le luci accese per farsi vedere. Lo Stato dev'essere autorevole con i forti e giusto coi deboli, capace di accogliere chi lavora e capace di pretendere rispetto. Bisogna investire nella sicurezza vera, non tagliare i fondi alle forze dell’ordine per rendere davvero sicuri e i posti in cui viviamo. 

Dobbiamo fermare questa enorme commedia messa in piedi da PDL e Lega sempre più costosa da mantenere, fatta solo di sprechi che sta consumando e sprecando le risorse che servirebbero a garantire un futuro ai giovani. Oggi chi è più giovane sa di avere pochissime chance di poter avere un lavoro che gli permetta una vita normale: mantenersi, avere una casa, crescere dei figli e, quando sarà anziano, avere una pensione. Avere un lavoro che permette di vivere è passato da essere un diritto a essere una pretesa. Ho sentito un giovane una volta dire "La mia ragazza ha uno stipendio che non le permette di vivere, ma è normale, si deve fare un po' di gavetta". No, non è normale. E non è nemmeno transitorio. Una volta che si è creato un meccanismo per cui si può sottopagare qualcuno si è creato un mostro che pretenderà di sottopagare per sempre. Come non è normale che puoi comprar casa solo se hai la fortuna di avere dei genitori che fanno da garanti per il mutuo.

L'effetto di tutto ciò è che cresce l'esasperazione. Si vedono decine di persone esasperate dallo zero politico di questi anni, da una parte edall'altra. Esasperate per il fatto di non avere in futuro quelle garanzie anche minime su cui potevano contare i loro genitori. Esasperate da una classe politica che invece di risolvere i problemi corteggia gli elettori nella speranza si creda all'ennesima bugia. Esasperate dall'assurdo potere che hanno programmi imbecilli di manipolare il consenso. Esasperate da questo paese che non sa sognare di meglio che un tronista, un calciatore semianalfabeta, una velina. Esasperate da chi non sa vedere il vantaggio che non sia esclusivamente il proprio e l'immediato. Esasperate e disperate: perché non vedono soluzioni a breve o a lungo termine. Non vedono un'alternativa al tunnel dove siamo entrati.

Temo questa esasperazione. Temo diventi una serie di altri fatti. Fatti dolorosi. Leggo che sempre di più si fanno discorsi violenti. Sento gente normale dire con una leggerezza agghiacciante cose come "Ci vorrebbe una bomba per farli fuori tutti quelli in Parlamento". O leggo di di gente al bar che dice che le sarebbe piaciuto essere a tirar pietre o che dice che non è detto tirare i sassi e spaccare le vetrine serva a qualcosa ma è giusto farlo perché è l’unica cosa possibile. Leggo che i figli arrivano a tirar petardi contro le sedi del partito dei padri. Leggo questa lettera pubblicata su Repubblica: "Non ho più ragione di credere che con le buone si ottenga qualcosa, non a questi livelli. Un anno fa mi sarei indignata per Roma, oggi no, oggi sono felice. Perché è vero che la violenza è uno schifo, ma è l’ultima risorsa di chi è disperato. Uso questo termine non a caso: disperato è colui senza speranza. E io sono così. Io non ho futuro: ho 26 anni e non ne ho già più uno. Non potrò mai comprarmi una casa perché non farò mai un lavoro che mi permetta di accendere un mutuo, i miei genitori non possono aiutarmi economicamente e non so nemmeno se potrò mai comprarmi una macchina nuova. Se avrò dei figli non riuscirò a pagare le tasse per mandarli all’università, e quando sarò vecchia non avrò pensione. Non ho più niente da perdere e come me tantissimi, troppi altri.". 

A questa esasperazione si può rispondere solo con un nuovo progetto di Paese. Quando c'è caos è il momento di fare ordine. Guardiamoci dentro, attorno, parliamone e riflettiamo su come dovrebbero funzionare le cose. E trasformiamo queste riflessioni in un progetto. Un progetto a cui, certo, devono corrispondere fatti. Ma prima dei fatti servono le parole per descriverlo e per spiegarlo. Perché un progetto che riformi lo Stato può funzionare solo se compreso. E solo se costruito con pazienza.

L'Euro è stato l'ultimo vero progetto di cambiamento della nostra società, un progetto grandioso e riuscito. Noi ne facciamo parte grazie al lavoro di un Governo che ha ottenuto risultati incredibili. Godiamo grandi benefici dal fatto di essere nell'Euro. Se non lo fossimo la crisi e la speculazione ci avrebbero devastato. Però quel progetto non è stato spiegato. Non si è fatto comprendere quali benefici portava. Non si sono spese parole per renderlo un progetto condiviso. Lo stesso discorso si applica più in piccolo alla politica economica del secondo Governo Prodi. Nel 2007 il rapporto debito/PIL era sceso del 4% e il PIL era cresciuto. Un risultato incredibile. Ma L'artefice di questo risultato è ricordato solo per aver usato male le parole: "tesoretto" e "bamboccioni" sono il ricordo che abbiamo di quel Governo. Anche in quel caso non è stato costruito un progetto condiviso con la gente. Bisognava far capire che il rigore che ha portato ad abbattere il rapporto debito/PIL del 4% in un anno poteva portare in 15 anni ad avere un debito in linea con gli altri paesi europei e a liberarsi dal peso di interessi che strozzano la nostra economia.

Il nostro Paese ha problemi radicati e profondi. Per risolverli serve un progetto coerente a lunga scadenza. Un progetto che parte chiedendo sacrifici ai molti che godono di privilegi. Un progetto che richiede a tutti di adeguare abitudini e modi di vita. Un progetto che si giustifica solo se ha un obiettivo alto. Un progetto che è realizzabile solo se è credibile. Non è vero che nessuno sarebbe disposto a far sacrifici. Tutti fanno sacrifici per i loro figli. Il punto centrale è elaborare una proposta capace di far capire che il futuro migliore per chi oggi è un bambino può essere costruito solo da un Paese diverso, che cresce e che valorizza tutti.

Dobbiamo riscoprire le parole che fanno grande un Paese. La prima da riscoprire è meritocrazia. Questa parola è vittima di un grande equivoco. Meritocrazia non è, come molti pensano, il fatto che i migliori vanno avanti e gli altri stanno fermi o soccombono. Se la si vede così è ovvio che spaventa. Piuttosto che rischiare mio figlio resti penalizzato la combatto e preferisco una raccomandazione. Meritocrazia è un'altra cosa: è il fatto che tutti godono dei loro meriti, che ognuno trova uno spazio conforme alle sue capacità e alle sue attitudini in cui i suoi meriti contribuiscono al bene comune e portano a lui rispetto, stima e un giusto guadagno. Dobbiamo premiare l’impegno e insegnare alle future generazioni a guadagnarsi qualcosa con i propri meriti. Chi ragiona solo in termini di immagine diffonde una cultura dell’illusione e dell’inconsistenza. Chi promuove e candida ballerine, scelte solo per il loro aspetto, crea illusioni, porta un modello sbagliato, lontano dalla nostra identità e dai nostri valori. 

Dobbiamo ridare senso alle parole innovazione e flessibilità. Partenda da dati oggettivi e seguendo l'esempio di chi fa meglio di noi. La Germania ha superato la crisi e quest'anno ha una crescita del PIL tre volte superiore alla nostra. C'è riuscita perché crede nell'innovazione. Durante la crisi invece di tagliare i fondi alla ricerca li ha aumentati. In Italia non siamo competitivi perché crediamo che per essere competitivi dobbiamo semplicemnente tagliare il costo della manodopera. Crediamo di poter competere sul mercato mondiale con piccoli artigiani che lavorano 12 ore al giorno e operai sottopagati. Seguiamo il modello della Cina invece che il modello della Germania. Nel farlo stiamo fallendo miseramente. Con buona pace di Fassino eRenzi le automobili costruite in Germania aumentano del 15% e restano più di un terzo di quelle costruite in tutta Europa nonostante gli operai tedeschi siano pagati 500 euro più dei nostri. Forse, più che di costo della manodopera, è un problema di qualità dei prodotti e di competitività dei nuovi modelli.

Un altro termine da riscoprire è diritto. Un diritto è qualcosa che spetta a una persona e che è tale se la persona è nelle condizione di esigerlo. Oggi dobbiamo riscoprire quali sono i diritti degli Italiani e delle persone che vivono in Italia. Abbiamo leggi che sanciscono diritti a parole che nella realtà non esistono. Dobbiamo capire che garantire i diritti ha un costo, ma anche che i diritti del più debole sono i diritti di tutti noi. Se non riusciamo a garantire a tutti i loro diritti non siamo un paese civile. Dobbiamo capire che è vero che garantire i diritti costa, ma che non garantirli ha un costo umano infinitamente superiore.

Dobbiamo ridare un senso alla scuola. Dobbiamo tornare a vedere la scuola come luogo di apprendimento autentico smettendo di ragionare in termini di utenza, di marketing e di produttività. Per farlo dobbiamo modificare le leggi e rieducare l’opinione pubblica. Da anni la scuola, in nome dell’autonomia, è stata trasformata in un’azienda. La quale deve farsi pubblicità, offrire benefits, promuovere un’immagine vincente sul territorio, soddisfare la sua utenza e produrre risultati misurabili. E dobbiamo avere il coraggio di dire che non si possono misurare le scuole coi test Invalsi (tra l'altro, i test vengono corretti dai capi d'Istituto, Solo in alcune poche scuole prese a campione ci sono dei funzionari esterni non pagati, immagino l'attendibilità dei risultati), che sono mostruosità le valutazioni di merito, le classifiche regionali e nazionali, in cui i "singoli" risultati dei singoli istituti saranno messi in colonna, come fossero risultati sportivi. Quando si misura un indice per valutare qualcuno quel qualcuno farà di tutto per migliorare quell'indice, non per fare meglio ciò che è il suo compito. Le scuole devono formare persone migliori, non esibire indici migliori. Un aneddoto per capire ciò che intendo: un giorno ero in areoporto e ho incontrato un mio ex studente, mi saluta e mi dice che è diventato manager di un’azienda a Londra. Commento dicendo “Allora il Politecnico ti è stato utile”. Lui mi dice che in verità un giorno a lezione io dissi “Se non capite questa cosa davvero forse è il caso che vi fate delle domande sulla scelta di frequentare questa università”. Mi disse che si fece le domande e cambiò strada. E anche se allora mi odiava a posteriori me ne è grato. Qualsiasi indice avrebbe valutato il suo abbandono del Politecnico come qualcosa di negativo. Come si può misurare una cosa così? Investire nella cultura e nell’istruzione deve servire a preparare i bambini di oggi ad affrontare il domani. Solo se saremo preparati potremo vincere le sfide del futuro. Investire in ricerca significa essere i primi a produrre prodotti nuovi, significa diventare leader mondiali in settori emergenti. Per guidare l’innovazione e non subirla. Per ottenere questo risultato serve un'università di qualità, fatta da persone di qualità. Perché i migliori decidano di restare in università italiane bisogna adeguare gli stipendi agli standard europei e introdurre la tenure track (un ricercatore universitario inizialmente con contratto "a termine" viene confermato o assunto direttamente come professore associato a tempo indeterminato se il lavoro svolto per 5 o 6 anni soddisfa dei requisiti misurabili in modo oggettivo e stabiliti a priori). In questo modo non si garantisce il posto a prescindere dai risultati, ma lo si garantisce a chi raggiunge livelli adeguati.

Dobbiamo rivedere il nostro welfare, eliminando la possibilità chequalcuno lavori una vita e poi resti senza pensione. Bisogna rivedere complessivamente il welfare per garantire a tutti la serenità (che è la base del vivere bene). Nessuno deve vivere con l'ansia che anche se lavora bene resterà senza i soldi per mantenere la famiglia. Gli ammortizzatori sociali devono essere rivisti garantendo a tutti i lavoratori, dipendenti o collaboratori, la stessa copertura dal rischio di disoccupazione, certa e definibile a priori, eliminando disparità e discrezionalità da parte delle amministrazioni pubbliche che li concedono. Bisogna inventare nuove politiche di riqualificazione e di reimpiego dei lavoratori stessi smettendo la pratica dei finti corsi fatti per regalare soldi a docenti improvvisati.

Dobbiamo rivedere la nostra sanità. Dobbiamo passare da una sanità che si preoccupa degli indici di prestazione a una sanità che si preoccupa delle persone. Anche in questo caso un aneddoto aiuta a spiegare la differenza. Mi è capitato di vedere un signore che doveva richiedere una visita per togliere i punti dopo un’operazione all’occhio. Mentre era lì proprio sotto un cartellone che pubblicizzava i tempi d’attesa incredibilmente corti per decine di esami, gli è stato risposto che non c’era la possibilità di essere visitati per mesi e che avrebbe fatto meglio a rivolgersi al suo "oculista di fiducia" suggerendogli implicitamente di pagarsi una visita privata. Si è messo a piangere. È tremendo vedere un adulto piangere umiliato. Dobbiamo puntare a una sanità diversa, che non costringe i pazienti a pagarsi visite extra, capace di organizzarsi e di capire che quando si opera un paziente occorre offrirgli assistenza anche nel decorso della malattia. Una sanità che spende meno in pubblicità e più per i pazienti.

Dobbiamo riappropriarci dell'assistenza, che ha lo scopo di garantire una vita migliore agli assistiti e non di garantire soldi a chi vive sul business dell'assistenza. Un assistente sociale sa di avere un posto fisso. Un disabile non sa se il contributo che riceve quest'anno sarà disponibile l'anno prossimo. Ci sono più garanzie per chi si occupa dell'assistenza che per chi ne usufruisce. Ciò è semplicemente assurdo. Bisogna dare stabilità alle forme di sostegno, cercando di razionalizzarle e favorendo quelle che accrescono l'autonomia (e diminuiscono di conseguenza i costi). I progetti di vita indipendentedevono diventare prassi: garantiscono una vita migliore al disabile e costano meno di altre forme di assistenza (un disabile grave, in un istituto, ha un costo che si aggira intorno ai 300-500 euro al giorno; con il costo di un solo disabile in istituto, si possono assistere circa 10 disabili gravi a casa). 

Dobbiamo recuperare il senso della parola libertà. C'è una differenza nell’idea di libertà tra noi e Berlusconi: per lui è l’infinita libertà di possedere merci, potere e persone. Per noi è libertà dalla paura, dalla miseria, dalla superstizione. Per noi è la libertà di vivere con chi amiamo serenamente. Dobbiamo riprenderci la parola 'libertà' e riconsegnarla al suo vero significato.

Dobbiamo rivedere il concetto di green economy, imparando che non è una fissazione di ingenui ecologisti, ma la più potente arma per sconfiggere la crisi. C’è chi propone di risolvere i problemi energetici del Paese con centrali nucleari, che saranno realizzate da aziende straniere e porteranno lavoro e commesse in Francia e Germania. Noi avremo energia molto costosa e scorie nucleari. L’irradiazione provocata da materiale contaminato causa lo sviluppo di tumori e la nascita di bambini malformati. Dobbiamo investire nelle energie rinnovabili e nelle piccole imprese specializzate in questo settore, in grado di dare lavoro a centinaia di persone. 

Tutte queste cose però hanno senso solo se inserite in un contesto più ampio, in un progetto complessivo. In un'idea di Italia. Un'Italia che dev'essere l'evoluzione positiva di ciò che esiste già. Però un'altra Italia, un'Italia capace di dare speranza a tutti i suoi figli. Un'Italia capace di guardare al futuro con fiducia, verrebbe da dire che dev'essere la Prossima Italia.
 
Molti Comuni (soprattutto al Nord) hanno deciso di risparmiare peggiorando la qualità del cibo dato ai bambini.
[...] il piatto unico prende il posto del primo e del secondo sulle tavole dei refettori. Succede nelle grandi città del Veneto come nei minuscoli Comuni del Comasco. E una sperimentazione è in corso anche a Milano. "Con il piatto unico i bambini avanzano meno cibo e si risparmia", sostengono i sindaci e gli assessori che credono nella rivoluzione del pranzo a scuola. "Il costume alimentare sta cambiando e non si torna indietro", sostengono i sociologi. "Risparmiando sui pasti si perde in qualità", replicano le mamme delle "Commissioni mensa". Un fatto è certo: il piatto unico a scuola è anzitutto un tentativo dei Comuni di risparmiare, vista la sofferenza dei conti dovuta al patto di stabilità, alla cancellazione dell'Ici e alla dieta finanziaria imposta dal governo.
Lo Stato taglia i fondi ai Comuni. I Comuni sostituiscono il menù con primo, secondo e contorno con un menù con piatto unico. Il Ministero della Salute dice che:
Il tradizionale modello alimentare mediterraneo è ritenuto oggi in tutto il mondo uno dei più efficaci per la protezione della salute ed è anche uno dei più vari e bilanciati che si conoscano.
L'articolo continua dicendo che:

Il Comune di Padova ha introdotto il piatto unico in mensa per tre giorni a settimana, e conta di risparmiare così 650 mila euro in un anno, riducendo gli avanzi dei 7mila pasti serviti ogni giorno a scuola. "Sarà una portata equilibrata - assicura l'assessore all'Educazione, Claudio Piron - e al pomeriggio sarà servita una merenda". A Vicenza il piatto unico arriva in tavola in versione rinforzata: oltre alla portata principale (lasagne o spezzatino) è previsto un contorno di verdura. Lo stesso succederà in alcuni piccoli centri: da Asso in provincia di Como ad Assago alle porte di Milano, da Cernate nel cuore della Brianza a Calcinato nel Bresciano. 

Francesca Zajczyk, sociologa urbana che sta conducendo una ricerca sul ciclo di vita del cibo, mette in guardia: al piatto unico a scuola ci si dovrà abituare. "La pausa pranzo mette a dura prova la tradizione italiana - dice - e il piatto unico è alla base della cucina di molti Paesi presenti nelle nostre città, come quella messicana o cinese. Certo, l'abitudine al piatto unico si diffonderà con più lentezza nelle regioni del Sud, dove il susseguirsi delle portate nella giornata del lavoratore tipo resiste". E le mense scolastiche vanno di conseguenza. A Palermo il Comune annuncia un nuovo menù "bio-mediterraneo", legato ai prodotti locali, alle ricette del territorio. Una mossa in controtendenza rispetto a quelle dei molti Comuni, fra cui quello di Roma, che per risparmiare tagliano il biologico in mensa. 

Secondo questa sociologa dobbiamo imparare dalla dieta messicana e cinese. Servono commenti?

Milano Ristorazione, la società comunale che serve ogni giorno 80mila pasti in 450 scuole, offrirà il piatto unico solo tre giorni al mese. "È una sperimentazione che tentiamo con la Asl - dice il presidente Roberto Predolin - di più non facciamo". Una rassicurazione per le agguerrite mamme delle Commissioni mensa, che già non hanno gradito la riduzione della dimensione delle porzioni di verdura, sempre in ottica anti-sprechi. Rosanna Campeggi è una dei 400 genitori milanesi che controllano la qualità del cibo che mangiano i loro figli: "Se il piatto unico viene introdotto come forma di risparmio - dice - il rischio per la qualità è forte". Negli ultimi mesi la commissione ha segnalato diversi eccessi provocati dal voler spendere poco: dal pesce tritato e poi ricomposto a forma di filetto fino alla mozzarella comprata in Germania a prezzi bassissimi. 

Diamo ai bambini mozzarelle importate a costi bassissimi. Poi spendiamo miliardi per le campagne sui prodotti DOP. Geniale.

Il costo medio di ognuno degli 1.580 pasti serviti ogni giorno nelle scuole materne ed elementari in Italia è di 3.90 euro. La stima è di Fipe, il sindacato dei pubblici esercizi. E Angem, l'associazione delle aziende che servono le mense, fornisce un altro dato: l'80,3 per cento delle gare per la fornitura di cibo alle scuole nel 2010 è stata aggiudicata con il criterio del maggior ribasso, contro il 4,9 per cento delle mense aziendali. Ilario Perotto, presidente di Angem, commenta: "Il sottocosto non può che generare insoddisfazione fra i bambini e le proteste delle famiglie".
In pratica, i Comuni risparmiano sul pasto dei bambini in un modo in cui le aziende non osano sul pranzo dei dipendenti.

Non fa schifo tutto ciò?
 
A Brescia data una multa di 450 euro a un negozio perché aperto dopo le 22.
Si è più sicuri per strada se ci sono i negozi aperti e la gente che cammina o se è tutto deserto e buio?
Lega e PDL hanno istituito il coprifuoco, come in Iraq. Vogliono che viviamo nella paura. E ci stanno riuscendo.
 
Dopo due anni di non-governo di Berlusconi vengono confermate le voci su una manovra da 25 miliardi di euro per risanare i conti pubblici. Per 2 anni, il governo ha negato la crisi, poi ha continuato a ripetere che l’Italia era in condizioni migliori di ogni altro Paese. Ora dice che saranno lacrime e sangue, colpiranno pesantemente i lavoratori. L’Irap doveva essere abolita, invece viene aumentata per coprire l’incapacità dei commissari nominati dal Governo di risanare la sanità. Per mettere a posto i conti pubblici e sostenere la crescita servono riforme vere. Continuare ad insistere soltanto sulla finanza pubblica vuol dire cadere in una spirale di stagnazione, dannosa per l’occupazione, per le imprese e, quindi, anche per la sostenibilità del debito pubblico.

Il PD in questi due anni ha fatto proposte concrete: Ichino ha presentato una riforma del mercato del lavoro che avrebbe tutelato tutti i lavoratori oggi a rischio, Treu ha presentato proposte per creare occupazione attraverso progetti mirati (come la costruzione di impianti energetici puliti), Bersani ha proposto di usare i soldi bloccati per opere faraoniche e di fatto inesistenti (tipo il ponte sullo stretto) per finanziare le infrastrutture locali (più soldi ai Comuni virtuosi che avrebbero potuto dare lavoro a imprese locali). Invece si è preferito sprecare soldi con voli di Stato o per pagare le stravaganze di Berlusconi (un solo esempio: la segretaria del premier prende più di 16.000 euro al mese).

La prima domanda che tocca porci è: ma delle tante riforme sbandierate quali sono ora attive? Quale attività ha svolto il Parlamento nel suo incarico istituzionale? Anche in questi casi la risposta è molto semplice: nessuna.

Con 343 deputati e 174 senatori a sostegno, la stragrande maggioranza del Parlamento, il governo è ricorso al voto di fiducia già 34 volte mettendoo in risalto la negazione del rispetto delle principali regole delle istituzioni democratiche. A volte hanno motivato la richiesta d'urgenza per impedire eventuali ostruzionismi delle opposizioni. A volte, il maggior numero dei casi, solo per blindare decisioni che riguardavano l'immunità di una sola persona: Silvio Berlusconi. Con 34 fiducie in 2 anni il governo vede il Parlamento come Facebook, per Berlusconi c'è solo il Mi piace...

In questi due anni, il presidente del Consiglio ha lavorato più di sondaggi che di politica. Presente nei luoghi delle disgrazie, assente da Palazzo Chigi per risolvere la crisi economica che ha tolto speranza a molti lavoratori, annebbiato il futuro delle nuove generazioni, peggiorato l'anzianità dei pensionati. La Croce Rossa consegnava le prime case a L'Aquila e lui si prendeva il merito. Poi volava da Putin a risolvere conflitti diplomatici internazionali e otteneva in cambio comodi lettoni per escort.

L'evasione fiscale vale in Italia 100 miliardi secondo l'Istat, o 70 miliardi di euro come affermano i tecnici del ministero di Tremonti? Anche nel secondo caso si tratta del 17% del PIL, un vero tesoro, ma in 2 anni hanno pensato solo a smontare i provvedimenti anti-evasori: via la tracciabilità dei compensi, via i conti correnti dedicati per i profesisonisti, menos anzioni e più condoni, compreso lo scudo fiscale. Fassina calcola che "abbiamo già perso l'equivalente di mezzo punto di PIL, 7-8 miliardi di euro. Solo l'IVA è crollata del 10%".

Berlusconi si vanta dell'abolizione dell'ICI. Peccato che ha giocato con una coperta corta. Il governo Prodi nella Finanziaria 2008 aveva diminuito l'ICI per tutti esentando il 40% delle case, quelle più modeste. Tremonti ha abolito l'ICI per tutti, tranne che per le abitazioni signorili o le ville (appena 40.000 in tutta Italia, servirebbe una revisione catastale d'urgenza...), togliendo ai comuni l'unica imposta che gestivano direttamente di una certa entità. Quanto non incassano più i comuni con l'abolizione dell'ICI? 2,5 miliardi. Soldi non restituiti ai sindaci, che per far quadrare i bilanci devono tagliare i servizi ai cittadini.

Vi ricordate l'impegno per Alitalia italiana? Con un nazionalismo fanfarone si è rifiutato l'accordo con Air France-Klm a favore della cordata Passera-Colaninno-AirOne. Gli imprenditori hanno presentato un "Piano Fenice" peccato che le ceneri da cui far rinascere la nuova compagnia, la CAI, sono quelle di una "bad company" statale, ovvero sostenuta da tutti gli italiani che pagano le tasse, che ha bruciato 3 miliardi di euro. Inoltre è diminuita la concorrenza interna tra compagnie aeree e non si sono liberalizzati i voli intercontinentali. Che sta a significare biglietti più cari che in altri paesi.
Ed i lavoratori?
Air France stimava 2.200 esuberi e di farsi carico di tutti i debiti, la società nata dalla fusione di Alitalia e Air One ha 13.100 dipendenti contro i 17.500 di Alitalia ed i 3.000 di AirOne. Quindi gliesuberi sono 7.400.

Siamo al secondo compleanno dell'ennesima edizione del Governo Berlusconi e possiamo dire, senza dubbi, che l'esecutivo non ha fatto nulla per questo Paese e per il suo futuro. Le uniche leggi che il governo si è impegnato a varare sono leggi che hanno riguardato interessi di pochi, se non di uno solo. Per l'economia nessuna misura concreta e strategica è stata presa per rispondere alla crisi. Tanti annunci, decine di fiducie, una concezione del Parlamento come servo dei voleri dell'esecutivo, un'idea di democrazia plebiscitaria che si traduce nell'incapacità assoluta di prospettare riforme serie per la crescita e l'ammodernamento del Paese. Nel frattempo in una maggioranza che sembrava granitica crescono le tensioni e, giorno dopo giorno, emerge una pratica della gestione del potere davvero poco trasparente.

Sono stati due anni che hanno segnato il passo con scandali più o meno seri e che sono stati sistematicamente oscurati dalle televisioni e dai telegiornali guidati dai fedelissimi del premier. Un gioco fatto da interruttori a distanza: accendere i riflettori sui successi e spegnerli quando era evidente il fallimento. Ma è diverso tempo che questo gioco è in corto circuito perché i successi sono solo un lontano miraggio.
Il governo attraverso il suo sito, quello degli altri ministeri e le prossime conferenze stampa in pompa magna, ora ci presenteranno un film fatto di cieli azzurri e puliti, di benessere e qualità della vita. Di italiani felici e contenti anche davanti alla crisi. Un film di balle e fantasia. 

E ora che si è scoperto come la corruzione e la cricca abbiano coinvolto alcuni ministri e personaggi di spicco del Pdl non si capisce con quale faccia di bronzo il capo-padre-padrone possa chiedere la testa degli affaristi e degli arricchiti. Lui che è l'unico a non essersi mai dimesso neanche davanti all'evidenza.
Chi è stato il comprimario a sorpresa di Berlusconi? Guido Bertolaso. Di cui servirebbero le dimissioni immediate del sottosegretario con delega alla Protezione civile. È la richiesta che il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, torna a fare durante la Marcia della Pace da Perugia ad Assisi. Bersani ha ribadito che "Bertolaso si dovrebbe dimettere per il buon nome della Protezione civile, che è una cosa straordinaria e che va messa al riparo dai dubbi. Già da tempo doveva essere avvenuto per non lasciar la Protezione civile in questa situazione ambigua e difficile".

Sono passati appena due anni da quando Silvio Berlusconi si è reinsediato a Palazzo Chigi. Con una maggioranza schiacciante nei numeri e con tutte le possibilità di riformare il Paese, il Presidente del Consiglio si è calato la maschera di panacea di tutti mali. Ad ogni azione di governo è corrisposto un evento mediatico con tanto di nani e ballerine. Tante cose sono accadute in questi due anni. Troppe. Stiamo meglio? L'Italia è un modello da seguire? Berlusconi ha governato 7 degli ultimi 9 anni con un solo risultato visibile: il fallimento.
 
Gentile Giuseppe Fusi,
ho letto su Informazona questo articolo.

Le volevo fare alcune domande a proposito. Lo faccio in una lettera aperta, perché credo gli stessi dubbi siano nati anche in altri lettori.

Il primo dubbio: la frase "devo ancora una volta far notare che i tempi cambiano, ma la sfrontatezza, la boria e la convinzione di essere al di sopra di ogni razionale ragionamento restano le stesse e si tramandano come un gene inguaribile di padre in figlio, radicati in chi fa "politica" solo da qualche mese" era proprio necessaria?
Cosa significa "un gene inguaribile di padre in figlio"? Invece capisco il suo commento sulla boria dell'opposizione, e mi permetto di darle un consiglio: proponga di trasmettere di mettere online le registrazioni dei Consigli Comunali, così tutti vedranno certi atteggiamenti e potranno rendersi conto del livello delle persone con cui hanno a che fare. Prevengo l'obiezione sul costo: se il Consiglio accetta, la registrazione può essere effettuata con una video camera amatoriale o con un registratore e per la messa on-line offro la mia consulenza gratuita.

Il secondo dubbio riguarda la frase "Tutte risorse che, vista la modica entità, non saranno difficili da trovare nel corso dell'anno: perché quindi spostarle ora in sede di bilancio di previsione?". Che significa esattamente questa frase? Il bilancio di previsione non ha nessun valore? E se i soldi "non saranno difficili da trovare", allora servono o non servono? Perché se i 5000 euro per l'asilo non servono non capisco perché van trovati, se invece servono perché non metterli in bilancio adesso, visto che è il momento in cui si pianifica il bilancio?

L'ultimo dubbio riguarda la frase "Ringraziare perché, nonostante le notevoli difficoltà incontrate in un anno, il 2009, drammatico sotto ogni punto di vista, si è deciso di tirare la cinghia e non modificare i costi dei servizi a domanda individuale che questo Comune offre". In che senso ringraziare? In tempi non sospetti l'assessore Sala (allora sindaco) mi spiegava che la Giunta riconosce i diritti e fissa le spese per essi in base alle necessità che vede. Credo di poter dire, con cognizione di causa, che in 11 anni quelle non sono state solo parole, ma fatti concreti. Non ho mai sentito nessuno dell'opposizione lamentarsi della gestione dei Servizi Sociali, anzi, la proposta fatta di aumentare il fondo sociale aumentava il budget di cui è responsabile l'assessore Sala in vista di possibili necessità. Ma non mi risulta l'assessore abbia mai preteso "Ringraziamenti", anzi, l'ho sempre sentito rispondere "Ho fatto ciò che era giusto fare". Lei non è d'accordo con questa linea?
 
Il primo maggio Berlusconi ha dichiarato: “il primo maggio è l’occasione per confermare l’impegno del governo per la tutela dei diritti dei lavoratori, in particolare dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro senza più le garanzie, le certezze e le opportunità dei loro padri, in un tempo di crisi e di epocali trasformazioni dell’economia e della società”

Su Polisblog pssiamo leggere un esauriente resoconto dell’ottobre scorso in cui si mostra come la flessibilizzazione del mercato del lavoro e la conseguente creazione di un mercato del lavoro duale, a tutto svantaggio dei giovani, è stata in gran parte opera dei governi di centrodestra degli ultimi 15 anni.In Italia il tasso di disoccupazione giovanile giovanile è aumentato ben più che altrove ed è a livelli-record nell’ambito dell’Unione.

Anche se Berlusconi dice che “non c’è nessuno che avendo perso il posto di lavoro venga lasciato solo dallo Stato“ e Brunetta dice che il nostro sistema di ammortizzatori sociali è il “migliore d’Europa” la realtà è che dei 4 disoccupati su 5 che non ricevono nulla dallo Stato, moltissimi sono proprio giovani precari. Il governo ha fatto sì qualcosa per estendere la platea dei beneficiari anche ai “lavoratori flessibili”, ma agendo con strumenti cheassomigliano più all’elemosina che ad un vero sostegno della disoccupazione di tipo europeo.

Questo il vero bilancio del governo Berlusconi. Tremonti che invoca il posto fisso, Brunetta che immagina 500 euro mensili ai giovani con soldi sottratti alle pensioni, o propone l’uscita di casa a 18 anni obbligatoria per legge, la dichiarazione di Berlusconi del 1°maggio a me sembrano vere e proprie prese in giro.

Se davvero Berlusconi vuola fare qualcosa per il lavoro dei giovani, smetta di firmare contratti assurdi con Francia e Russia per costruire centrali nucleari tra 10 anni e usi gli stessi soldi per pagare Italiani per installare pannelli solari su tutte le case e per ridurre le inefficienze della rete e delle case italiane.